A+ A A-
  • Categoria: Info
  • Scritto da Francisco
  • Visite: 17836

Il pellegrinaggio nel Medioevo

La rinascita spirituale che caratterizzò l'inizio del secondo millennio fece assumere un notevole rilievo alla pratica religiosa del pellegrinaggio, che coinvolse cristiani di ogni età e condizione sociale, facendo avventurare schiere di pellegrini verso le grandi mete della Cristianità medievale: La Terrasanta, Roma e Santiago di Compostella.

Nella figura del pellegrino (l'«homo viator»), il cristiano del Medioevo si riconosceva perfettamente, poiché l'esperienza del pellegrinaggio, annullando per un determinato periodo di tempo quei fenomeni (luogo natio, casa, famiglia) nei quali l'uomo tende naturalmente a mettere radici, permetteva di tradurre in termini reali il fatto che tutti siamo  “advevae et peregrini”, in cammino verso il regno dei cieli. In un'epoca di forte sensibilità religiosa, qual era il Medioevo, il pellegrinaggio, con le dure prove fisiche che implicava, non rispondeva come riduttivamente è stato affermato, a una volontà di espiazione dei peccati, ma mirava soprattutto a realizzare una conoscenza più personale e diretta della propria fede.

Il rifiorire della spiritualità cui accennavamo coincise con i profondi cambiamenti della società medievale che, per la prima volta, permisero a un numero sempre più elevato di persone di intraprendere lunghi viaggi. Di qui l'intensificarsi dei pellegrinaggi, favoriti anche dal fatto che, a partire dall'XI secolo, iniziò un periodo di relativa pace per tutto il continente europeo, che fece venire meno secolari barriere. Il finanziamento di un viaggio però costituiva pur sempre un problema: chi decideva di compiere un pellegrinaggio doveva procurarsi i mezzi per equipaggiarsi e per sopperire alle spese per il proprio sostentamento per un periodo più o meno lungo. In una economia che ancora si caratterizzava per la scarsità della moneta circolante, nella maggior parte dei casi si era pertanto costretti a vendere o ad ipotecare i propri beni onde realizzare una certa disponibilità monetaria. Data la pericolosità dei viaggi, inoltre, prima di prender commiato era buona norma per un pellegrino far testamento, nominando gli eredi e dando disposizioni in ordine all'amministrazione del proprio patrimonio durante I'assenza. Una prassi, disgraziatamente non sempre rispettata, voleva comunque che i beni e gli effetti di chi partiva per un pellegrinaggio rimanessero sotto la protezione della Chiesa.

Chi tornava dall'esperienza del pellegrinaggio veniva considerato come arricchito di una grazia speciale ed era perciò tenuto in grande considerazione. Anche per questo i pellegrini erano ritenuti nel Medioevo una sorta di «ordo» particolare, formale come gli stessi ordini monastici. Il grande riformatore benedettino Guglielmo di Hirsau, ad esempio, distingueva nella Chiesa di Germania cinque ordini, ciascuno dei quali possedeva una propria specifica missione spirituale. Uno di questi accoglieva, con gli eremiti, i pellegrini che, come i primi, avevano rinunciato al mondo, seppure temporaneamente, entrando a far parte di una «casta iniziata di santuomini».

Dopo aver ricevuto la benedizione dal proprio vescovo, il pellegrino procedeva al rituale della vestizione, che prevedeva la consegna delle varie componenti del suo abbigliamento: un mantello di ruvido tessuto (detto «sanrocchino», «schiavina», oppure «pellegrina»); un cappello a larghe tese, rialzato sul davanti e legato sotto il mento (il cosiddetto «petaso»); la bisaccia, una borsa floscia di pelle appesa alla vita; infine il «bordone», un alto e robusto bastone di legno dalla punta metallica. Il tutto veniva solennemente benedetto davanti all'altare, seguendo un preciso rituale liturgico che presentava non pochi punti di contatto con le cerimonie della vestizione di un cavaliere, oppure dell'ordinazione di un sacerdote: ulteriore prova delI'intento della Chiesa di stimolare la pietà religiosa dei laici, assegnando loro una sorta di status privilegiato, quasi ecclesiastico.

Dal diario di viaggio di un pellegrino del XII secolo, l'abate Nikulas di Munkathvera, sappiamo che in determinate località, al punto d'incontro degli itinerari usati per raggiungere le principali mete dei pellegrinaggi, ci si era organizzati per soddisfare le richieste di coloro che prima di partire non avevano potuto effettuare il rito della vestizione. Nel documento si dice infatti che ad Utrecht «... a gente riceve il bordone e la bisaccia ed è benedetta per il pellegrinaggio a Roma».

I devoti che riuscivano a raggiungere l'agognata meta usavano appuntarsi sull'abito particolari segni distintivi, quasi a testimoniare l'avvenuto adempimento di un voto. Se si era stati a Santiago di Compostella, era d'uopo cucire sul petaso o sulla mantella una delle celebri conchiglie galiziane, mentre chi si era recato a Gerusalemme tornava con un ramo di palma di Gerico. A Roma le insegne che provavano l'effettuazione del pellegrinaggio, inizialmente erano derivate dagli abiti ecclesiastici (scapolari, pazienze), più tardi furono sostituite da piccoli rilievi di piombo con immagini popolari (le quadrangulae) e, ormai in età moderna, da attestati a stampa con le immagini dei santi Pietro e Paolo.

Coloro che avevano fatto numerosi pellegrinaggi ostentavano i distintivi collezionati, come quel pellegrino descritto nel Piers Plowman che aveva «un centinaio di ampolle attaccate al suo cappello / emblemi del Sinai e conchiglie di Galizia / e molte croci sul suo mantello e chiavi di Roma / e la Veronica anzitutto; perché gli uomini devono sapere f e vedere dai suoi simboli chi aveva ammirato».

Nell'immaginario collettivo degli uomini del Medioevo il pellegrinaggio occupava un ruolo di grande rilevanza: non a caso la figura del pellegrino è un “topos” ricorrente nelle opere «culte», così come nella poesia popolare. Quest'ultima, accanto ad antiche ballate epico-liriche, ha tramandato numerosi strambotti tradizionali che testimoniano della diffusione della pratica dei pellegrinaggi: vedi il toscano «Pellegrin che vien da Roma», o il piemontese «Pelegrin che andé a San Giaco».

Nelle opere letterarie, poi, i riferimenti al pellegrinaggio sono ancor più numerosi: nella novellistica, ad esempio, dove dal Decameron al Tiecentonouelle il pellegrino è uno dei personaggi-tipo che ci e dato incontrare frequentemente. E la stessa cantica del Purgatorio, nella Divina Commedia, può essere letta, se si vuole, come una sorta di allegoria del viaggio dei pellegrini.

Il pellegrinaggio, forma di pietà religiosa sostanzialmente libera, era perciò stesso difficilmente disciplinabile. Quando assunse i caratteri di un fenomeno di massa, è naturale che le autorità ecclesiastiche si preoccupassero che tutto non si riducesse a una pratica esteriore, nonché del rischio che ai pellegrini si mescolassero briganti, trafficanti, donne di malaffare, «persone frivole e curiose». Pertanto si esortava a una scelta oculata dei compagni di viaggio, che potevano poi rivelarsi dei «falsi bordoni». Si tendeva, infatti, a viaggiare in gruppo, e ciò per motivi di sicurezza. Non a caso, negli Annales Stadenses, più volte si informano i pellegrini sulla pericolosità di certi luoghi e si consiglia loro di stare in guardia. Così all'attraversamento del Po: «nequissimi manent ibi leccatores. Thanseas ergo contra diem, non contra noctem»; oppure, sulle Alpi, a Covalle: «nequam in antro: cum sociis transeas»».

Ad ogni modo, lungo gli itinerari più frequentati era in fondo impossibile durante il percorso evitare di raccogliere gente, e il viaggiare insieme diventava normale. Anzi in determinate occasioni i gruppi divenivano moltitudini, come lascia supporre la testimonianza di Giovanni Villani, relativa al Giubileo del 1300, quando dice che «...i Tedeschi e gli Ungari in gregge, e a turme grandissime, stavano la notte a campo stretti insieme per lo freddo, atandosi con grandi fuochi».

E ovvio che i vantaggi spirituali di un pellegrinaggio fatto con devozione potessero venire annullati dalle tentazioni e dai pericoli che s'incontravano lungo la strada. Nacque così il detto per il quale «qui multum peregrinantur, raro sancficantur», espressione, crediamo, anche di una incipiente avversione della società urbana per qualunque tipo di vagabondo, che sempre più verrà visto come una persona infida e pericolosa.

In un'epoca, come il Medioevo, nella quale la stragrande maggioranza della popolazione esauriva la sua esistenza nel limitato orizzonte geografico del proprio villaggio, I'eventualità (per coloro che potevano permetterselo) di un viaggio rispondeva anche ad un comprensibilissimo bisogno d'evasione. Per questo non si riesce a sfuggire al sospetto che in tanti pellegrini alla volontà di rinnovamento interiore si sovrapponessero altre sollecitazioni a viaggiare, più vicine a quelle che muovono un moderno turista. Non è improbabile sia stato così, ad esempio, per quel «Popinus» del castello casentinese di Poppi, vero e proprio globe-trotter del Medioevo, che, fra il 1164 e il 1794, effettuò numerosi pellegrinaggi, recandosi a Santiago di Compostela e, per due volte, sia a Roma che a San Michele sul Monte Gargano.

Accanto ai pellegrinaggi intrapresi per atto di pietà personale erano i pellegrinaggi obbligatori, imposti da confessori o da giudici, secondo una distinzione codificata da giuristi e teologi del XIII secolo. Ad introdurre il pellegrinaggio cosiddetto «giudiziale» nella legislazione civile europea fu I'Inquisizione, con la sua opera di sistematica persecuzione giuridica dell'eresia. Il pellegrinaggio, per coloro che confessavano peccati minori contro la fede, o che ne erano semplicemente sospettati, fu fra le pene più miti imposte dall'Inquisizione. Se invece era comminato da un confessore, il pellegrinaggio era una “tariffa” penitenziale usata per le trasgressioni più gravi, quali il sacrilegio o f incesto, oppure per quei peccati pubblici che implicavano scandali, come le colpe sessuali del clero".

 

Configurandosi spesso il pellegrinaggio anche come un atto di penitenza, in fondo era comune un po' à tutti i pellegrini l'intento di espiare i propri peccati. La differenza stava nella volontarietà della decisione di effettuare un atto di pietà personale che, specialmente a partire dall'XI secolo, sempre più fu scelto da un numero crescente di persone: e Roma era la destinazione più comune, perché lì si sperava di ricevere I'assoluzione dal papa in persona.